Le Famiglie di Fronte alla Malattia Mentale

Niente di nuovo Quindi?

Quest’ordine di precisazioni non va a definire con esattezza categorie nosologiche, quanto piuttosto una variegata fascia di utenza per la quale gli aspetti di cronicità, gravità, fattori familiari, fattori longitudinali, aspetti dell’esordio e del decorso, e aspetti della sintomatologia (Pao), consentano di svolgere un lavoro basato sulla relazione e sulla partecipazione quotidiana ad un contesto gruppale. L'interpretazione può riguardare i sogni, i fatti della vita reale, le fantasie, i modi espressivi della persona ecc. Un tipo di interpretazione molto particolare, in questo ambito, è quella diretta alla relazione paziente-analista. Si eviteranno dunque tutti gli apparecchi di cottura che prochlorperazine in linea permettono lo sviluppo di temperature molto elevate, equivalenti a una sterilizzazione; occorrerà anche eliminare dalla dieta gli alimenti conservati e limitarsi a cuocere i cibi nel minor quantitativo di acqua possibile (salvo nel caso di zuppe e minestre), o addirittura senz'acqua, mettendo sul fondo della pentola dei vegetali molto ricchi di acqua (insalata, cipolle, zucca, pomodori) e un po' d'olio (preferibilmente d'oliva). Va fatta perciò un’analisi della compatibilità dell’intervento comunitario che varierà a seconda degli obiettivi e dei modelli terapeutici tipici di ogni tipologia comunitaria, ma soprattutto occorre valutare, attraverso meticolosi processi diagnostici, a quali bisogni evolutivi s’intende tentare di rispondere, quali progetti è possibile attivare e a quali rischi di neo-istituzionalizzazione si può andare incontro.

L’assetto comunitario si pone isomorficamente in corrispondenza dialogica con la co-presenza degli aspetti antinomici e pluralistici della mente, consentendo una dialettica trasformativa e feconda tra di essi e, nello specifico, tra gli aspetti della patologia e gli aspetti della salute mentale. Questa insufficiente definizione non aiuta certo, a mio parere, né le CT a focalizzare il proprio specifico, né i pazienti ad orientarsi verso una CT anziché un’altra, per cui accade ancora troppo spesso che le domande terapeutiche si schiaccino drammaticamente sulle poche offerte a disposizione, spesso ricercate disperatamente, e a volte inadeguate. È dimostrato che abbandonare i pregiudizi e guardare alla malattia mentale per quello che è - e cioè una malattia come un’altra, meno grave di tante altre anche perché curabile, e associata a risorse ancora non del tutte esplorate - ne cambia notevolmente la prognosi. Non solo dunque tendono ad integrarsi i differenti approcci e i vertici di osservazione anche inizialmente più lontani, ma si tende sempre più a superare le oramai obsolete dicotomie: riabilitativo/terapeutico,contenitivo/interpretativo, supportivo/espressivo, intrapsichico/interpersonale, individuale/gruppale, nella direzione di un’ottica integrata e globale.

Il quotidiano di CT sfugge facilmente sia all’osservazione che all’attenzione “scientifica”: ciò che accade nei momenti non strutturati, nelle a volte lunghissime giornate, nei momenti di noia o viceversa di tensione, nei vasti meandri interstiziali che riserva un qualsiasi giorno in CT, con i suoi mille scambi e mille situazioni, è il pane quotidiano del lavoro di CT: solo l’attitudine transizionale dell’équipe, l’esercizio condiviso, allo scambio, all’alternanza continua tra illusione(speranza)-delusione-disillusione, nonchè la capacità di lettura e attribuzione di senso di ogni scambio, costituirà quell’humus naturale che ontogeneticamente precede la capacità simbolica. Ella è una donna divoratrice, non solo non dà la vita, ma pone anche fine alluomo attraverso il rapporto sessuale, sfinendolo: cè unimmagine fortissima nel romanzo che è quella della vagina dentata. L’orientamento psicoterapeutico di una CT, aggiungiamo, è dato anche dalla sua particolare “natura istituzionale”, dalla capacità cioé dei suoi artefici di revisionare i propri presupposti storico-fondativi e modellistici all’interno di una continua dialettica conservazione/cambiamento: tale caratteristica ne fa un’istituzione “fluida” e flessibile, capace cioé di allestire situazioni curative “istituenti” piuttosto che “istituite”.

Il manicomio di Roma era nato a metà del 1500, come ricovero per barboni e vagabondi: in occasione dell’Anno Santo del 1550, la Chiesa aveva stabilito che le persone di dubbia moralità e dai costumi deplorevoli che vivevano sulle strade della città fossero sottratti alla vista dei pellegrini e accolti all’interno del “Santa Maria della Pietà”. Prima della sua nascita era morto un suo fratellino e per il trauma la mamma era stata tre mesi in reparto psichiatrico (mentre il marito, il papà di Lia, si era dato all’alcol); in seguito si era sempre comportata in modo ambiguo e poco affettuoso verso i figli, almeno dal punto di vista di Lia. Se c’è un valore assoluto, questo è, aggiunse, la qualità della vita, la qualità della parola originaria, la qualità verso cui le cose si rivolgono: si può anche dire “il capitale”, in quanto cifra della parola originaria. La nostra esperienza ci suggerisce criteri selettivi per i quali l’uso dell’intervento residenziale, temporaneo ed intensivo, sia soprattutto finalizzato in senso preventivo (di tipo secondario o terziario), ma anche terapeutico, per un’utenza in grado di usufruire realmente di un’offerta terapeutico-riabilitativa attivante e trasformativa.

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